La sfida di Bersani alla Lega

15 Febbraio 2011

Intervista a Pier Luigi Bersani di Carlo Passera – La Padania

Giornalisti de la Padania nella sede lombarda del partito Democratico per un`intervista a Pier Luigi Bersani suggerita dallo stesso entourage del segretario Pd: già questa è una notizia… Destinata a far discutere parecchio, poi, con questi chiari di luna e visto il messaggio forte e chiaro recapitato dal leader originario di Bettola (tremila anime nel Piacentino, Lega al 35%) a Umberto Bossi: «Impegno me e il mio partito a portare avanti il processo federalista, dialogando con la Lega. Quali che siano gli sviluppi politici. Guardiamo oltre Berlusconi ma salviamo la prospettiva autonomista».
Perché questa sua presa di posizione?
«Intendo prendere anche personalmente un impegno: penso che sia oggi la Lega a tenere attaccata la spina di Berlusconi, ma presto o tardi si arriverà al dunque e il processo federalista va preservato, è una riforma storica, epocale per la democrazia italiana. Credo da sempre che, pur da posizione diverse e anche alternative, ci siano due vere forze autonomiste in questo Paese: il Pd e la Lega. Noi rivendichiamo e vogliamo coltivare, rinnovandola, questa nostra antica tradizione. Abbiamo in testa “l`Italia delle autonomie”, l`idea cioè che con la responsabilità diretta dei territori si possa arrivare sia a un livello comune di cittadinanza e di servizi, sia alla possibilità che chi ha una marcia in più possa correre. In questa contingenza noi vediamo dunque con grandissima preoccupazione il fatto che la Lega, vedendo accorciarsi i tempi della legislatura, possa accontentarsi di un Federalismo di bandiera; dall`altro temiamo che Berlusconi, culturalmente e politicamente del tutto disinteressato al Federalismo, ne approfitti per pretendere in cambio il processo breve, così come ha ottenuto il voto sulle “leggi sulla cricca”, e dunque “passare `a nuttata”. Da questo matrimonio un bambino come il Federalismo rischia di rimanere soffocato».
Bossi si aspettava da parte del Pd un atteggiamento diverso sul Federalismo municipale, che voi avete bocciato forse più per questioni di contrapposizione politica che per considerazioni di merito…
«Voglio chiarire, con sincerità. Noi abbiamo prima di tutto innestato il meccanismo federalista con la modifica dell`art 119 della Costituzione, abbiamo avuto un atteggiamento positivo sulla legge 42 (la legge delega sul Federalismo fiscale, il Pd si astenne, ndrj, ma abbiamo votato contro la fiscalità comunale per una questione assolutamente di merito. Non ci piace l`assetto che disegna: concede qualcosa ai Comuni, che recuperano un po` di soldi con nuove tasse, e non applica la logica di autonomia impositiva `voto, vedo e pago”, restringe la tassazione a quelli che non votano nel Comune stesso, e mette una patrimoniale sulle pmi… No, ecco, non ci va bene».
Ci saranno presto altri decreti.
«Penso una decina. Dobbiamo darci la possibilità di avere un quadro, c`è un lavoro profondo da fare, sto parlando di inquadramento del tenia in una generale riforma fiscale che noi proponiamo, sto parlando di definizione dei costi standard e degli standard di servizio, sto parlando di perequazione che non riguarda solo Nord-Sud ma diverse tipologie di Comuni anche al Nord. Noi diciamo che il contesto politico attuale è un enorme ostacolo».
Quale quadro politico alternativo prefigura? Gianfranco Fini ha appena lanciato un`offerta alla Lega: «Federalismo, modifica degli assetti parlamentari con la previsione di un Senato delle Regioni e legge elettorale, poi elezioni nella primavera del 2012». Lei pensa a qualcosa del genere?
«Io dico semplicemente: qualsiasi soluzione è meglio di quanto sta accadendo ora, anche in previsione di cioò che si prospetta nei prossimi mesi. Giuliano Ferrara non coglie in fallo né me né, penso, voi: io non parlo dei peccati – che interessano la Chiesa – o dei reati – che interessano i magistrati. Parlo di politica, di Paese: siamo in stallo. Tutto ruota attorno alle vicende di una persona, il resto è paralizzato. Se Berlusconi fosse uno statista dovrebbe generosamente trame le conclusioni, aprescindere che si ritenga o meno responsabile. Invito quindi tutte le forze politiche a considerare questi problemi fornendo una disponibilità larga. Berlusconi fa un passo indietro? Se il Governo rimanesse nell`ambito del centrodestra, noi staremmo all`opposizione pronti però a essere propositivi. Il premier non se ne vuole andare, si è inchiavardato? Allora si vada a votare, pur con una legge elettorale che non ci piace. Non so in quale scenario ciò avverrebbe; noi e la Lega saremmo magari sempre alternativi, ma garantisco personalmente, per me e per il mio partito, con tutta la credibilità della quale dispongo, che il processo federalista deve andare avanti e giungere a compimento. Discuteremo, certo, ma noi ci crediamo, siamo gli unici a crederci, con voi. Lo vogliamo, a nostro modo ma lo vogliamo».
“A nostro modo” suona un po` minaccioso…
«Noi crediamo nell`Italia, non pensiamo che un Nord possa correre da solo finché lareciprocità Nord-Sud non si risolve. Sono differenze tra noi e voi, certo: ma il processo deve procedere, nel confronto. Dico che tale processo è oggi impedito dalla crisi politica del berlusconismo: non siamo noi a sacrificare il Federalismo alla contrapposizione politica, è quest`ultima che si impone, quotidianamente. Capisco la Lega, vede l`orizzonte del Governo accorciarsi, dunque ha una priorità: fare alla svelta. Ma questa è una riforma troppo importante e seria perché venga costruita male, perché sia vittima dello scenario politico. Il Federalismo cambia l`Italia: non può dipendere dal caso Ruby».
Qualche anno fa Massimo D`Alema parlò della Lega come di una costola della sinistra. Poi per la verità smentì… Lei cosa ne pensa?
«Io ricordo Bossi che girava il Nord nei primi anni Ottanta, lo andavo a osservare. Vidi fin d`allora che li c`era qualcosa di interessante: una radice autonomista, anti-burocratica e moralizzatrice dal punto di vista della serietà dell`azione amministrativa. Così fino ai primi anni Novanta: non direi costola della sinistra, macerto tanta gente di sinistra divenne leghista, e io non ritenevo che fosse andata del tutto… “fuori casa”. In seguito la distanza tra noi e il Carroccio è aumentata per due fattori. Primo: la Lega, sotto l`onda di un meccanismo globale, ha interpretato il “locale” come elemento di difesa di comunità omogenee. Su questo non siamo d`accordo: l`immigrazione non l`ha scelta nessuno: c`è. Non ho bisogno che qualcuno mi spieghi che la Lega non è razzista. Lo so. Però dire “ciascuno a casa sua” non fai conti col mondo moderno».
E il secondo fattore di distanza?
«Ha fatto l`accordo col miliardario. Racconto un aneddoto: gennaio 2006, sono ospite della festa leghista di Busto Arsizio, bellissima, popolare, mille persone, dibattito dove ce ne siamo detti di tutti i colori, ricordo la cosa con grande simpatia. Alla fine mi venne di aggiungere: attenzione, io come voi so dire quanto deve pesare uno spiedino, quanta carne ci vuole perché sia fatto bene e il macellaio non ci truffi. Provate a chiederlo a Berlusconi: non-lo-sa! E questo è un punto di fondo, non una bazzecola. Si può essere alternativi su temi cruciali, ma noi e voi siamo in grado di dialogare. Siamo popolari, Berlusconi solo populista. Il patto che propongo è questo: fra forze popolari anche alternative vi siano temi sui quali ragionare insieme».
Restiamo sull`emergenza immigrazione. Lei dice di sapere che la Lega non è razzista, anche se molte accuse di questo tipo sono sempre piovute e hanno investito anche il ministro Marana, ora alle prese con una difficile situazione dovuta al caos in Nord Africa. Come vi porrete?
«Dico che la Lega non è razzista, ma attenzione: a incoraggiare certe pulsioni il razzismo si può produrlo. Per il resto, saremo assolutamente collaborativi, dal Nord Africa può svilupparsi un fenomeno di proporzioni rilevantissime nel quale l`Italia non può essere lasciata sola. È anche giusto invocare la partecipazione dell`Ue. Mi permetto solo di aggiungere una considerazione, senza dare alcuna responsabilità a Maroni: adesso siamo quelli che “protestano verso l`Europa”, una volta eravamo trai protagonisti delle politiche europee… Così ci siamo ridotti: sulla questione mediterranea hanno parlato Inghilterra, Germania e Francia, mentre Frattini era occupato ad annunciare il ricorso a Strasburgo sul caso Ruby…».
Lei tende la mano. Ma quanto è possibile fidarsi, se si considera come il suo partito sia tutt`altro che compatto?
«E una buona domanda, viene da una formazione in cui il leninismo è una roba seria… Scherzi a parte: di certo il Pd non ha padroni, è un partito plurale. Ma se dico, a nome mio e del Pd, che noi il Federalismo non lo molliamo, è perché so di poterlo dire, ne sono sicuro. La Lega ci rifletta e ci chieda pure, giustamente, cosa succede dopo, con uno scenario diverso, pur nelle reciproche distinzioni. Ma non si può andare avanti così».
Cosa pensa delle politiche economiche di Tremonti e del suo ruolo politico attuale?
«A Tremonti rimprovero di fare molto il filosofo, un po` il ragioniere ma per nulla l`idraulico, ossia di non mettere le mani nell`economia reale. Se la stabilità non si accompagna anche a un po` di crescita, va a ramengo anche la stabilità. Dal punto di vista politico, vedo Tremonti molto defilato, coltiva la propria popolarità chiamandosi fuori. Ma non è questo il momento di nascondersi, siamo di fronte a un nodo politico decisivo, drammatico. Cosa vuol fare? Ce lo dica. Vitti quelli che oggi “si fan di nebbia” vanno a finire nel girone degli ignavi».
Un`ultima domanda. Per Fini la Padania non esiste. L`espressione “Padania” fu peraltro usata fin dagli anni Settanta da un suo predecessore sulla poltrona di presidente della Regione Emilia Romagna, Guido Fanti. Per lei dunque esiste o no?
«La Padana non è una nazione o un popolo, è un sistema di relazioni. Nei primi anni Ottanta, proprio da presidente dell`Emilia Romagna, dicevo: se a Piacenza serve un`università, non la faccia fare da Bologna, ma da Milano».
L`ha fatta.

«Esatto. Per affermare l`identità non è necessario chiudersi. Pensavo e penso, ad esempio, che l`Emilia Romagna debba sviluppare potenzialità e relazioni con le regioni vicine. Chiamiamolo Nord. Volete chiamarla Padana? Come preferite».


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