Referendum: l’intervento in Aula dell’On. Bratti

17 Maggio 2011

Signor Presidente, ci troviamo ancora una volta, come è già stato più volte ricordato da chi mi ha preceduto, di fronte ad un provvedimento omnibus che, tra i tanti scopi, ne ha uno, quello, all’articolo 5, di impedire di fatto il referendum sul nucleare. Le motivazioni sono state spiegate molto bene dallo stesso Presidente del Consiglio che, dopo aver visto i sondaggi dopo alcuni giorni seguenti il disastro di Fukushima, si è reso conto che questo era il referendum che aveva serie possibilità di raggiungere il quorum e, quindi, di trascinare quello a lui caro del legittimo impedimento. D’altronde, la riprova è costituita dal grande successo ottenuto, come veniva ricordato questa mattina, dal referendum consultivo sul nucleare tenuto in Sardegna; un risultato che dimostra la grande sensibilità degli italiani su queste questioni. Negli ultimi due anni ci avete spiegato che questo Paese senza il nucleare non avrebbe avuto futuro e ci avete promesso una strategia energetica, nel decreto-legge n. 112 del 2008, che non sappiamo dove è andata a finire, dentro la quale ci doveva essere una strategia nucleare, anche questa mai vista, forse discussa in qualche corridoio, a meno che il tutto, come sembra, non si riducesse alla costruzione di quattro, forse otto, centrali ed alla costituzione di quella Agenzia per la sicurezza nucleare di cui vi siete dati solo un gran daffare per nominare il consiglio di amministrazione.
Ora ci riproponete, tempo un anno, una nuova strategia energetica nazionale: questo c’è scritto in questo decreto-legge. Abbiamo quindi ormai finito la legislatura e in cinque anni forse si inizierà a discutere su quale tipo di scelta energetica il nostro Paese dovrà cimentarsi e, di conseguenza, quale tipo di strategia industriale adottare. Ciò, significa che in questi anni avete navigato a vista decidendo sotto le pressioni di lobby interessate ai propri affari e non certo nell’interesse dei cittadini italiani. Insomma credo che questo sia un provvedimento che è la prova documentale del fallimento non tanto della vostra azione, che non c’è mai stata, ma addirittura dei vostri propositi. Un vero pasticcio all’italiana: dilettanti allo sbaraglio. Ma la farsa tragicomica si è manifestata successivamente al disastro di Fukushima dove siete passati dalle dichiarazioni del Ministro Romani («Andremo avanti lo stesso») a quelle del Ministro Prestigiacomo («Non possiamo perdere le elezioni amministrative per il nucleare») ad una proposta di moratoria di un anno. Poiché però questo non era sufficiente per smorzare la discussione sui disastri del nucleare, soprattutto per impedire il referendum vi siete inventati, con la scusa che lo fa tutta l’Europa, la moratoria a lungo termine in attesa dei test, i cosiddetti stress test. Ora una moratoria di una cosa che non c’è è perlomeno una questione curiosa. Penso che alcuni test dovrebbero invece essere realizzati su alcuni Ministri di questo Governo per cercare di capire se hanno l’idoneità per gestire problematiche così serie e importanti per il Paese. Questa considerazione è supportata da un’ulteriore confusione e danno che avete provocato attraverso il cosiddetto decreto Romani riguardo alle rinnovabili: qui nonostante le indicazioni precise della direttiva europea 2009/28/CE siete riusciti, ancora una volta, cedendo a lobby fortemente organizzate a mettere i bastoni tra le ruote a una delle poche realtà produttive e in crescita di questo Paese. L’industria italiana delle rinnovabili vale oggi circa 21 miliardi di euro, di cui circa 11 miliardi sono rappresentati dal fotovoltaico, settore che in maniera scientifica avete deciso di ostacolare. Ma prima di entrare nel merito del decreto-legge e dell’emendamento, che è stato presentato al Senato, mi corre l’obbligo di fare alcune considerazioni generali sul nucleare: una scelta che, al di là della grande tragedia giapponese, come Partito Democratico, abbiamo sempre considerato fuori tempo massimo e del tutto unica nel mondo occidentale. Eravamo l’unico Paese – ricordo – che da zero pensava di implementare del 20 per cento al 2030 l’energia prodotta con il nucleare.
Vorrei quindi brevemente ricordare alcuni dei luoghi comuni dei vostri punti di forza su cui il Governo ha cercato di portare avanti il suo disegno. Il primo: il nucleare è in sviluppo in tutto il mondo. In realtà la produzione di energia nucleare è stazionaria da vent’anni e negli ultimi tempi è decisamente in declino. Nel 2009 le due fonti energetiche in Europa in grande contrazione sono state il carbone e proprio il nucleare. La questione dei costi è il vero vostro punto di forza, sostenendo più volte che l’atomo sarebbe stato assolutamente conveniente per le bollette degli italiani. Anche qui dal 2003 i costi di costruzione delle centrali nucleari sono aumentati drasticamente con una media del 15 per cento l’anno in più come dimostrano le esperienze giapponesi e coreane. Nel 2007 secondo i nuovi dati del MIT, importante istituto internazionale, realizzare una centrale nucleare costa 4.000 dollari per kilowatt/ora contro i 2.000 di quattro anni prima. Un aumento molto più consistente di quanto accaduto nel carbone e nel gas attualmente stimati a 2.300 dollari e 850 dollari a kilowatt/ora contro i 1.300 e i 500 del 2003. In buona sostanza perché il nucleare sia competitivo – questo voi lo avevate già capito – oggi deve essere incentivato al pari e se non più delle energie rinnovabili. È interessante riportare inoltre come l’agenzia Moody abbia avvertito che la partecipazione di un’utility ad un progetto nucleare aumenti il suo profilo di rischio e abbassi il suo rating, così come Citigroup, la più grande azienda finanziaria del mondo, ha affermato: al nuovo nucleare l’economia dice «no».
Ma veniamo ad un esempio concreto, quello della centrale Areva EPR, il reattore di Olkiluoto, in Finlandia del tipo di quelli che ENEL e EDF avrebbero forse dovuto installare in Italia.
Il contratto «chiavi in mano» stabiliva un tempo di costruzione di 4 anni, con un costo di 3 miliardi di euro. La prima pietra era prevista nel settembre 2005. A settembre 2009 si prevedeva un ritardo nella costruzione dai 3 ai 5 anni, con un aumento del costo di circa 2,3 miliardi di euro. Poi, nel novembre 2009, come noto le autorità per la sicurezza nucleare francese e finlandese hanno stabilito che dovevano essere completamente modificati i sistemi di controllo e sicurezza.
Veniamo al tema dell’indipendenza della fonte primaria energetica, l’uranio. Ricordo che questo minerale è presente in quantità limitata, non è rinnovabile e in Italia non esiste.
Il tema delle scorie: non esiste al mondo nessun deposito definitivo. Il deposito del Nevada, il cosiddetto progetto Yucca Mountain, nel 2009 è stato dichiarato definitivamente fallito. Il rischio quindi che le scorie rimangano nei luoghi dove sono state prodotte è altissimo.
Ma veniamo al riciclo delle scorie: in un articolo di Nature, una delle riviste scientifiche più prestigiose a livello mondiale, nel 2006 si diceva che «il riprocessamento del combustibile nucleare è un’idea che dovrebbe essere abbandonata; il riciclo interessa componenti che possono facilmente essere usate per costruire armi; il riciclo del combustibile esaurito è interessante sulla carta, in concreto è una parte del problema, non la soluzione».
L’alto grado di pericolosità: in attesa purtroppo di sapere realmente quali saranno le conseguenze legate collegate al disastro giapponese di Fukushima, siamo però in grado, sempre anche qui facendo riferimento alla rivista Nature, di avere qualche dato, quindi non di riportare qualche intervista di professori universitari più o meno pentiti. Come dicevo, per quantificare questi danni causati da Chernobyl: 56 vittime immediate, 9.000 persone sono morte o moriranno prematuramente, 350.000 persone evacuate, 3 milioni di bambini hanno avuto bisogno di trattamenti medici, gravi problemi di salute mentale e di alcolismo per vasti strati della popolazione. Ma – e concludo – quello che più ci sorprende è questa grande scommessa azzardata del futuro, cioè quanto tempo necessita un ciclo completo di una centrale: l’individuazione dei siti permessi è dai 3 ai 5 anni, la costruzione della centrale dai 7 ai 10 anni, il periodo di funzionamento salvo inconvenienti 40-60 anni, un tempo di attesa per lo smantellamento dai 50 ai 100 anni e infine la pericolosità delle scorie radioattive, dai 10 ai 100.000 anni. Se ritorniamo all’Italia, la proposta del Governo, con le quattro centrali previste, avrebbe prodotto un 15 per cento dei consumi elettrici, lasciando un debito immenso a centinaia di prossime generazioni, una vera e propria follia.
Tralascio altre questioni per ritornare al decreto. È indubbio che avremo sicuramente la necessità, in questo Paese, di affrontare in modo serio e sicuro il tema delle vecchie scorie nucleari, quelle degli impianti costruiti negli anni Settanta e Ottanta, così come credo che la ricerca e la formazione del personale tecnico sulla tecnologia del nucleare vada incentivata e realizzata. Esiste anche il trattamento e la conservazione delle scorie a bassa radioattività. Quindi è necessario un forte presidio che sia saldamente in mano pubblica. Nel 2007 anche rispetto a Sogin un indirizzo importante era stato dato dal Governo Prodi e su quella traccia credo si debba ritornare.
Mi trova invece molto perplesso il fatto che si mantenga l’Agenzia per la sicurezza nucleare, agenzia che nel contesto precedente consideravamo debole e non completamente terza. Al di là della nomina del CdA, nulla ad oggi è capitato, anzi siamo in una situazione in cui il direttore di ISPRA è nel consiglio di amministrazione dell’agenzia e non ha ancora lasciato il suo precedente incarico, così come invece da ampie rassicurazioni che aveva dato nella Commissione parlamentare competente. Il Governo ha proposto quindi l’istituzione di un’agenzia di importanza fondamentale senza prevedere spese aggiuntive in tema di formazione e di assunzione del personale. Non è mai stato chiaro, anzi non è proprio previsto se l’agenzia avrebbe operato tramite strutture regionali. Oggi il sistema di allarme radiologico è molto capillare e diffuso e numerosi sono gli enti che se ne occupano. Vi sono alcune regioni (Piemonte ed Emilia-Romagna) che possiedono reti di allerta. Le professionalità che oggi sono incardinate nelle agenzie regionali per l’ambiente non è chiaro come si sarebbero collocate rispetto al progetto presentato.
Al solito, come è stato per la costituzione di ISPRA, si è scelta una strada fortemente centralista e poco attenta alle autonomie regionali e locali. Sappiamo che, per diversi anni, l’attività di controllo sarà ancora destinata al decommissioning e alla sistemazione dei rifiuti radioattivi.
La domanda che ci si pone è se, nel momento in cui – se è vero – si abbandona l’idea di costruire nuovi impianti, abbia senso mantenere l’Agenzia o se, invece, non sia sufficiente dar gambe più forti alla parte che si occupa di nucleare all’interno di ISPRA e rafforzare la struttura della rete presente sui territori.
Rispetto, poi, ai contenuti riportati all’articolo 5 del provvedimento in oggetto, in coerenza con le nostre posizioni, dovremmo esprimere in teoria, forse, un parere favorevole. Infatti, ad una lettura un po’ superficiale, sembrerebbe che le intenzioni del Governo siano quelle di abbandonare il programma – se così si può chiamare – del nucleare. In realtà, come è stato ricordato da diversi colleghi che mi hanno preceduto, così non è.
Il provvedimento è stato costruito ad arte – così come dichiarato dal Presidente del Consiglio – per prendere tempo e cercare di vanificare il referendum in attesa di tempi migliori. Si tratta di un ulteriore attacco alla libertà di espressione e di svuotamento ulteriore di un istituto, quello referendario, che sicuramente necessita di una riforma, ma non certo di uno svilimento totale.
Non è, quindi, una vittoria di coloro che da sempre giudicano la reintroduzione del nucleare nel Paese una scelta diseconomica e pericolosa, ma una delle solite «furbate» di questo Governo, che servono per dare risposta al contingente, fare propaganda e soddisfare apparentemente le esigenze immediate, senza una visione di prospettiva per il Paese. Un tratto purtroppo comune a diverse azioni di questo Governo e dell’attuale maggioranza.
Concludo, signor Presidente, auspicando – come ricordava prima il collega Cambursano – che, alla luce della poca chiarezza del provvedimento in oggetto, la Corte mantenga la possibilità per gli italiani di esprimersi in maniera democratica il 12 e il 13 giugno su un tema, come dicevo, così importante per il Paese, a meno che non vengano accettati quegli emendamenti, che discuteremo, che mettono una pietra tombale su questa scelta infausta del nucleare.


Condividi: